Francesco Paolo Frontini (Catania, 6 agosto 1860 – Catania, 26 luglio 1939) è stato un compositore, musicologo e direttore d'orchestra italiano.

«Bisogna far conoscere interamente la vera, la grande anima della nostra terra.
La responsabilità maggiore di questa missione dobbiamo sentirla noi musicisti perchè soltanto nella musica e nel canto noi siciliani sappiamo stemperare il nostro vero sentimento. Ricordatelo». F.P. Frontini

Dedicato al mio bisnonno F. P. Frontini, Maestro di vita. Pietro Rizzo
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sabato 22 gennaio 2022

L' INFINITO a Mario Rapisardi

 



" CRITICA ed ARTE

ANNO 1, n.1 20 febbraio 1907 Catania

L'INFINITO

a Mario Rapisardi


Dell' efimero ingegno oh stolta audacia

Che tenta scandagliare l'infinito,

Come il fanciullo l'alta onda che bacia

Con trepidi susurri l'ermo lito!


Oh l'infinito! Magica parola

Creata dal pensiero impetuoso,

Uscita, nell'ebrezza, dalla gola

Arsa di sete, in faccia al radioso


Cielo cui mille solcano diamanti!

Ma che sai tu, mio labile pensiero,

Degli astri nello spazio rutilanti,

Che del conteso, dell'estremo vero?


Non la piccola casa ov' io m'aggiro

Conosco appieno, non la mia città

Natale: ignoto quel che vedo e miro

A me d' intorno, quel che viene e va


Sangue venoso e rosso entro il mio cuore,

Degli occhi la famelica pupilla

Che d'ogni cosa sa forma e colore,

Ignota della selce la scintilla


Che, sorta appena, tosto si dilegua!

Nulla conosco, e nulla t'era noto,

Poichè la parte al tutto non s'adegua,

O Leopardi, tu che il grande Ignoto,


Che l'Infinito intendere credesti

Dall'ermo colle che ti fu si caro!

Miraggio fu che l' uomo alza a' celesti

Abissi ; ma, sparito, in un amaro


Fiume s'annega l'uomo sconfortato.

Quanto più sano chi nel cerchio breve

Della famiglia, nel suo gramo stato

Riposa ! una dolcezza alta riceve


Dalle piccole cose! un moscerino

Gli è cagion di letizia, un dolce canto

Gl' insinua per le vene un si divino

Palpito e gli produce un tale incanto


Nel cuore, ch' ei non cura se le stelle

Sian piccole cosi come le vede

Lo sguardo grosso, o smisurate nelle

Profondità del cielo! E nulla chiede


Del suo destino! Ma il pensiero invitto

Che irrequieto irrompe dalla chiostra

Del capo, quanto più cade sconfitto,

Tanto più altero e grande si dimostra


Nel sogno vano d'abbracciare il mondo

Universale ! O Leopardi, e tu

Col tuo pensiero discovristi il fondo?

Pensier dell' uomo, ne sai forse più?


SantìSottile Tomaselli




lunedì 9 marzo 2020

Francesco Paolo Frontini: Canti di Sicilia, Canzoni d'arte per soprano e pianoforte



Art Songs for Soprano & Piano (Jennifer Schittino e Giuseppe Senfett)




La bellissima raccolta di brani registrati in questo album dei Classici di Da Vinci è molto rappresentativa della felice vena melodica del compositore e della varietà degli stati d'animo che potrebbe evocare, nonché del numero di fonti letterarie da cui trasse. La sua conoscenza delle tendenze europee è dimostrata dalla sua impostazione di testi di Heinrich Heine, in Tu non m'ami (la poesia originale tedesca è Du liebst mich nicht ); e se Frontini era a conoscenza del lavoro di alcuni dei principali autori dell'epoca, molti di loro, a loro volta, conoscevano la sua produzione. Un musicista come Massenet ha ammesso di essere diventato "estatico" quando ha potuto ascoltare la musica di Frontini; ma tra i suoi numerosi ammiratori c'erano anche Victor Hugo, Emile Zola e Giacomo Puccini. In Tu non m'ami, lo stile giocoso della sezione iniziale è seguito da uno stato d'animo più espressivo, il cui sontuoso accompagnamento è costruito su generose connessioni armoniche.
Curiosamente, uno stile molto più sensuale si trova in Lauda di suora ("A Nun's Song"): anche se il tono generale è religioso, e le parole evocano una contemplazione del Crocifisso, la musica è inconfondibilmente terrena, con il suo complesso accordo progressioni e ampia gamma melodica. Queste scelte si addicono ai testi, scritti da Mario Rapisardi, un controverso poeta siciliano che era apertamente in guerra con tutti i tipi di autorità, comprese quelle religiose; quindi, non sorprende che un altro dei brani qui registrati, Il canto di Ebe , sia estratto dal Lucifero di Rapisardi (opera esplicitamente condannata dall'arcivescovo di Catania).
Mentre era profondamente radicato nella sua eredità siciliana, Frontini era anche interessato all'esotismo musicale, spesso immaginato come la cornice ideale per avventurose storie d'amore. Ad esempio, una delle sue canzoni più conosciute è Serenata araba , di cui è stata scritta (nel 1953, da Domenico Danzuso): “Rappresenta un piccolo gioiello di valore insuperabile e dimostra il genio di un artista che, anche se non conosceva l'Oriente, era ancora in grado di esprimere appieno il suo spirito, scrivendo la più bella musica araba ”. Un'altra serenata registrata qui è altrettanto deliziosa, sebbene con uno stile molto diverso: La serenata di Pulcinella ("Punch's serenade") ondeggia tra ironia e tenerezza, impiegando tratti genuinamente estratti dalla spontanea musicalità dell'Italia meridionale, trasformandoli anche in un'opera musicale molto raffinata (attraverso un uso consapevole dell'armonia e delle onomatopeie).

Tratti simili si trovano anche in altre sue canzoni: ad esempio, Canto di carrettiere e Marinaresca si concentrano su particolari situazioni umane e sociali, nonché su speciali "paesaggi" e contesti naturali, e mentre descrivono fedelmente ed efficacemente le scene vivaci che promesso, non mancano mai di un tocco di simpatia e sentimento umani.
Queste caratteristiche sono forse le più affascinanti e spesso presenti nella vasta produzione di canzoni di Frontini: anche quando i testi sono piuttosto semplici e semplicemente indicativi di storie d'amore accennate, piuttosto che adeguatamente narrate, la musica dà profondità ai testi e porta a vita i tratti umani dei protagonisti nascosti.
In questo forse sta il genio di Frontini, e il vero valore della sua musica: ascoltandolo, il mondo in cui ha vissuto e rappresentato nella sua musica prende vita ancora una volta, e siamo portati, dalle note della sua musica, in un'altra il tempo e un altro luogo, tinti di nostalgia, magia e incanto dell'ignoto.
Note sull'album di Chiara Bertoglio

Informazioni aggiuntive -  per acquistare QUI


giovedì 11 ottobre 2018

I verseggiatori ribelli, delusi dall'Italia unita



Il sentimento di una «rivoluzione tradita» dopo l'esaltazione risorgimentale 




Chi sono Ferdinando Fontana, Pietro Gori, Giacinto Stiavelli, Edoardo Augusto Berta, Giovanni Antonelli, Luigi Grilli, Mario Rapisardi, Alfio Belluso, Domenico Milelli, Olindo Guerrini e decine d'altri i cui nomi oggi suonano poco familiari alle nostre orecchie? Sono i poeti ribelli, che affidarono alla penna la loro opposizione, e dal 1870 al 1900 fecero risuonare il loro grido patriottico in un'Italia scossa da cambiamenti non sempre condivisi. L'Unità d'Italia, di cui si è celebrato il 150° nei giorni scorsi, si era da poco conclusa, e dalla proclamazione del Regno fino all'inizio del nuovo secolo, gruppi di rivoltosi e di scontenti «che ambivano al ruolo di opinion makers dell'opposizione, furono segnati da un'aggressiva conflittualità intellettuale e da un diffuso sentimento di inquietudine». Lo spiega Giuseppe lannaccone, docente di Letteratura italiana all'Università di Roma Tre, curatore del volume «Petrolio e assenzio. La ribellione in versi (1870-1900)» (Salerno Editrice, 245 pp., 14 €). Molti i nomi quasi sconosciuti di questi poeti ribelli, ma non mancano i grandi come Carducci, Pascoli e Ada Negri.

Perché «Petrolio e assenzio»? 
In omaggio al petrolio, l'arma usata dai rivoluzionari sulle barricate della Comune parigina, e all'assenzio, il mitico liquore verde eletto già da Baudelaire come il simbolo della trasgressione.

La poesia, stigmatizzata anche da Mazzini, dopo l'Unità d'Italia divenne politica e contestataria. Come si arrivò a ciò? 
La polemica politica dei poeti nasce da una disillusione e da un risentimento davanti allo sbocco deludente che ai loro occhi avevano avuto gli eroici anni del Risorgimento. Le battaglie garibaldine avevano alimentato il sogno di un'Italia repubblicana, popolare, anticlericale e democratica. La soluzione postunitaria si rivelò invece compromissoria, strumento di un ceto politico conservatore e poco interessato alla giustizia sociale. Il risentimento nasceva da una percezione, che si protrasse fino agli albori del Novecento: che il Risorgimento fosse stato, a cos e fatte, una rivoluzione tradita e che gli ideali patriottici e libertari che l'avevano alimentata fossero stati sacrificati da una politica trasformista e corrotta.

Traditi: ma in che cosa e da chi? 
Le ragioni del disincanto post-risorgimentale sono diverse, ma possono trovare una sintesi nella rancorosa insoddisfazione garibaldina. L'Eroe dei due mondi, dimettendosi da deputato nel 1880, scriveva ai suoi elettori: «Altra Italia sognavo nella mia vita!». Aveva sognato una patria libera da consorterie e la trovava avvilita da trasformismi e corruzioni; aveva auspicato una politica finalizzata all'eliminazione dei privilegi e invece tanto la Destra quanto la Sinistra storica avevano accentuato la distanza tra ricchi e poveri e favorito lo sfruttamento capitalistico da parte della borghesia affarista che governava l'Italia umbertina.

La sinistra di fine Ottocento, riuscì a stabilire un contatto con le masse? 
La sinistra del secondo Ottocento era un calderone animato da istanze profondamente diverse, talvolta perfino antitetiche le une alle altre: mazziniani, garibaldini, repubblicani, socialisti, anarchici.

C'è qualche poeta che andrebbe rivalutato e riproposto ai lettori?
Sicuramente Olindo Guerrini, le cui raccolte poetiche, all'epoca veri best seller popolari, sono uno splendido esempio di anticonformismo e di abilità tecnica. Poi Pompeo Bettini, autore di testi sociali venati da una malinconia quasi crepuscolare; Giuseppe Aurelio Costanzo, il cui poema «Gli eroi della soffitta» è l'identikit di una generazione di intellettuali condannati all'emarginazione da una borghesia gretta e materialista; infine il calabrese Domenico Milelli, da cui ho tratto il titolo del volume.




La partecipazione di Carducci, Pascoli e Ada Negri a questo movimento, fu occasionale o effettiva?
Fu forte e sincera. Carducci, quando ancora usava il nome d'arte di Enotrio Romano, fu punto di riferimento degli irriducibili avversari della borghesia. Il suo «Inno a Satana» rappresentò per molti il manifesto del libero pensiero e del progresso minacciati dall'oscurantismo ecclesiastico. Pascoli trascorse tre mesi in galera per aver inneggiato nel 1879 all'anarchico Passannante, che aveva attentato alla vita del re Umberto I. Ada Negri si meritò l'appellativo di «poetessa del Quarto Stato». Salvo poi ritrovarsi tutti e tre dall'altra parte della barricata: Carducci si convertì alla causa della monarchia, Pascoli concluse i suoi giorni invocando l'intervento coloniale in Libia, la Negri fu nominata nel 1940 da Mussolini membro dell'Accademia d'Italia.
** di Francesco Marinoni

mercoledì 20 giugno 2018

MARIO RAPISARDI - 24 lettere ad Enrico Onufrio


L'epistolario di Mario Rapisardi, pubblicato a Catania da Alfio Tomaselli nel 1922, presenta (com'è naturale) molte lacune. Non fa cenno, per esempio, d'una corrispondenza con Alessio Di Giovanni, di cui ci occuperemo avanti. Quanto ad Enrico Onufrio, riporta una sola lettera: la quinta (ma con data sbagliata e varie omissioni) delle 24 che noi qui pubblichiamo.
L'Onufrio, spirito libero ed anticlericale, non poteva non simpatizzare col maggior poeta dell'isola, e auspicare il trasferimento di lui dall'Università di Catania a quella di Palermo. La storia di questo fallito trasferimento risulta abbastanza chiara dalle lettere n. 1, 6.
Il secondo gruppo più cospicuo di questa corrispondenza riguarda la pratica per la libera docenza, che coronò la breve vita dell'Onufrio (n. 9, 10, 12, 14, 15, 20-24).
Non mancano interessanti confessioni del Rapisardi : sul Giobbe e il suo culto della poesia in genere (n. 3, 5, 17); sulla polemica col Carducci e i carducciani (n. 7, 8, 18), contro i quali il catanese vorrebbe addirittura passare all'attacco mediante un nuovo giornale letterario (n. 13); e infine sulla infedeltà della moglie, Giselda Foianesi. Doveva amarla: al punto da ammirare « un lungo racconto » di lei e annunziarne all'amico la prossima pubblicazione nel Fanfulla quotidiano (n. 3). Quando seppe della tresca fra Giselda e Giovanni Verga, fu la « terribile sventura » (n. 16), che fin tre mesi più tardi gli bruciava l'anima (n. 19).



Trascriviamo integralmente le 24 lettere, conservando le particolarità ortografiche come publica, sodisfare,  obligatissimo, e aggiungendo qualche indicazione particolare subito dopo ciascuna lettera.

1
Firenze, 17 agosto '79
Egregio Signore,
Non credo che il Ministro della publ. istruz. sia disposto a soddisfare il desiderio della gioventù atea palermitana; ma io ricorderò sempre con piacere l'articolo ch'Ella ebbe la bontà di scrivere sul conto mio, non solo per le lusinghiere parole che mi riguardano, ma perché mi consola il pensiero che le mie buone intenzioni di artista abbiano trovato un'eco negli animi generosi dei giovani siciliani.
Per mostrarLe, come posso, la mia gratitudine, mi prendo la libertà di mandarle una primizia della mia versione del De Rerum Natura, pregandola di aggradirla e di credermi
A Lei obligat.mo M. Rapisardi.
Sulla busta: All'Egregio Signor Enrico Onufrio, Palermo.

2
All'Egregio Sig. E. Onufrio
Mario Rapisardi
in segno di riconoscenza e d'affetto.
Biglietto da visita senza data.

3
Catania 14 di giugno 80 
Carissimo Onufrio
Voi mi volete molto bene, ed io ve ne voglio altrettanto.
Vi dico, a onor del vero, che son professore ordinario da due anni per opera del De Sanctis, che, appena salito al potere, si ricordò con affetto di me.
Giselda, ch'è contentissima delle vostre cortesi parole, ha terminato un lungo racconto, che a me par fatto benino e che vedrà forse la luce nel Fanfulla quotidiano.
Io  lavoro da più mesi in un nuovo poema, nel Giobbe. Dopo l'epopea del diavolo, l'epopea dell'uomo. Amo l'arte più della celebrità (e forse anche più della gloria), e per questo non mi preoccupo, se in capo alla via che percorro ci sia il Campidoglio o il Calvario : mi bastano le selvatiche ebbrezze, che mi concede quella Divina, e il saluto di qualche anima baldanzosa come la vostra.
Addio.
M. Rapisardi.
Busta : « Al Chmo Sig. Enrico Onufrio, Palermo. « L'epopea del diavolo » adombra il poema Lucifero (1877).

4
Di villa, 14 ottobre 80
Mio carissimo Onufrio,
Il  vostro articolo mi è giunto proprio gradito, tanto più che voi, indovinando un mio desiderio, avete corretto lo strano apprezzamento di Uriel sulla natura della mia poesia.
Mi rincresce di non potervi mandare, come vorrei, il mio discorso inaugurale, perché non ne ho neppure un esemplare per me. La Rivista Repubblicana lo riprodusse nel fascicolo secondo; e il Pensiero ed Arte lo dà a centellini a' lettori come cosa prelibata; ma io vi assicuro che, tranne il coraggio ch'ebbi di leggerlo dinanzi a tutte le autorità e in questo paese e in quell'occasione solenne, non ha altro merito.
Vi manderò invece, appena vedrà la luce, che sarà, spero in novembre, un esemplare della 3* ediz. delle « Ricordanze accresciuta di alcuni versi inediti, che voi terrete in 
memoria mia, e mi ricambierete con qualcuna delle cose vostre di cui, a dir vero, non mi siete stato molto largo finora.
Prendetevi, intanto, insieme ai saluti della mia Signora un abbraccio                                                                                  '
Dal vostro Rapisardi.
Busta:  «All'Egregio Sig. Enrico Onufrio, Palermo»

5
Catania, 28 di Nov. 80 
Mio carissimo Onufrio,
Io non so nulla di nulla riguardo alla mia promozione, né credo ci sia altro di positivo tranne il desiderio di una parte della studentesca palermitana, del quale vado orgoglioso, e l'affettuosa premura vostra, di cui vi son grato paternamente. Diedi principio ier l'altro alle mie lezioni con un discorso sul Naturalismo nella poesia italiana; e lavoro, quanto posso, nel Giobbe a cui do il succo migliore del mio cervello. Spero con esso finalmente avvicinarmi a quell'ideale, da cui mi par d'essere ancora cosi lontano, e poi mi vivo solitario come in una perpetua nostalgia.
Extremum hunc, Arethusa, mihi concede laborem!
Addio, carissimo Onufrio, se io dovessi mai venire a Palermo la mia prima stretta di mano sarebbe per voi. Salutatemi gli egregi Paresce e Ragusa Moleti e ringraziatemi il primo della legnata che diede nell'ultimo Pensiero ed Arte sul groppone di quel cotale Bragaglia e dite all'altro che gli scrissi ier l'altro per ringraziarlo del Baudelaire. Abbiatemi intanto per vostro
M. Rapisardi
e gradite i saluti della Giselda.
Busta:   «All'Egregio Sig. Enrico Onufrio, Palermo».

6
Catania, 22 Dic. 80 
Carissimo Onufrio,
Fui invitato dal Ministero ad insegnare lett. ital. in codesta Università per quest'anno, in qualità di comandato.
Essendo già aperto il concorso a codesta cattedra, e non parendomi conveniente di tornarmene qui dopo d'essere stato un anno ad insegnare alla studentesca palermitana, che mi ha dato publiche prove di simpatia, né avendo ragioni di espormi ad un concorso ho creduto bene di rifiutare l'offerta. Spero che gli amici miei di costi, fra' quali voi siete primo, non abbiano a disapprovare questo mio rifiuto.
Vi stringe la mano
Il vostro Rapisardi.
Busta: «All'Egregio Sig. Enrico Onufrio, Palermo». La risposta dell'Onufrio, che qui segue, conferma l'accortezza del Rapisardi nel sottrarsi al « comando » palermitano : a Bernardino Zendrini, infatti, titolare di lettere italiane all'università di Palermo dal 1876 al 2 agosto 1879 (giorno della sua morte), succederà, nel 1881, Giovanni Mestica.

Carissime Signor Professore,
La Sua risposta fu quale conveniva alla Sua dignità che non deve ammettere, come non ha ammesso giammai   tra sazioni di sorta,
Lei non aveva bisogno di domandare il mio parere su tal riguardo.
Il Ministero le offerse l'incarico per un anno in questo Ateneo non per proprio impulso, bensì spinto da la stampa periodica e da le manifestazioni della scolaresca universitaria di qui, E Lei ha fatto bene a dire di no : o tutto, o nulla
S'immagini con quando dolore io Le dica codesto; in mancanza di meglio, io mi sarei contentato di averLa qui un anno. Ma la dignità anzi tutto.
E, sa nulla? Come del probabile successore di Zendrini ho già inteso profferire un nome: quello di un certo Mestica. Dico un certo, perchè non bastano le sue noiosissime prose a renderlo meno ignoto.
Mi dicono che cotesto Mestica sia un... ranalliano.
Insomma, di bene in meglio!
E ora non mi rimane che ringraziarLa dell'affetto e della stima che Lei nutre per me. Grazie, grazie infinite.
I miei ossequi a la Signora Giselda. Un abbraccio affettuosissimo dal suo
Enr. Onufrio

7
Carissimo Onufrio,
Catania, 21 aprile 81
Mi credo in dovere d'informare i miei amici di quanto è accaduto in questi ultimi giorni fra me e il sigr Carducci.
Nel N. 6 del Fanfulla domenicale costui ha parlato di un arcade cattivo soggetto etc. che stima lavori d'arte le proprie ribalderie etc. etc. Queste parole son sembrate a taluni allusive alla mia persona; ma finché il sigr Carducci non osava pronunziare il mio nome io non dovevo, per rispetto a me stesso, risentirmi dell'allusione. Ciò che non osò lui, l'osò un certo Luigi Lodi in uno scritto su Lorenzo Stecchetti stampato dallo Zanichelli. Egli parlando ingiuriosamente di me dice fra l'altro un arcade cattivo soggetto etc.
Mi son creduto in dovere di rivolgermi al sigr Carducci dicendogli : O dichiarate che non alludevate a me; o pubblicate i documenti che possano giustificare le vostre parole; o voi siete il più vigliacco e miserabile calunniatore. Risponde che alludeva a me; minaccia di tornare sull'argomento come e quando gli piacerà; dichiara ch'è una questione di morale letteraria e di buon gusto; e che non attende alle mie ingiurie. Tirandosi così in disparte, mi sguinzaglia contro un suo cagnotto, il sigr Luigi Lodi; il quale non contento d'avermi insultato in pubblico, mi scrive una lettera piena di sgrammaticature e d'ingiurie così plateali da fare arrossire un facchino di porto, e mi chiede una riparazione!!! non senza minaccia di venire fino a Catania a bastonarmi!!!
Come potete immaginare, io non posso, né devo raccogliere il fango che mi schizzano contro le zampe di cotesto mulo. Né mi meraviglia che ci siano uomini tali nel mondo; ma mi amareggia e mi sbigottisce il pensiero che le nostre lettere siano cadute in mano di questi masnadieri; e coloro che si strombazzano apostoli della morale letteraria, si valgano di cotal canaglia per sostenere il decoro dell'arte ed il proprio onore.
Mi vendicherò del Carducci fra poco, pubblicando un sonetto che lo schiaccerà, e di cui vi mando una copia; ma vorrei che la stampa onesta ed indipendente levasse la voce contro questi scandali e contro la condotta scellerata di un uomo stimato ed idolatrato da tutti coloro che non lo conoscono, stimabile per l'ingegno e per la dottrina, ma vituperevole pe'l carattere dell'animo.
Eccovi intanto il sonetto insieme ai più cordiali saluti
del vostro
Rapisardi.

Giosuè Carducci.
Testa irsuta, ampie spalle, ibrida e tozza 
Persona, in canin ceffo occhio porcino, 
Bocca che sente a un miglio il fiele e il vino, 
Se biasma, onora, quando loda, insozza.

Mevio da un soldo, Orazio da un quattrino, 
Che ad arte di mosaico i versi accozza; 
Or Cerbero, che i re squarta ed ingozza, 
Or di gonne regali umil lecchino.

Tal è costui, che la musa baldracca 
Sbuffando inchioda ed inquinando ammazza 
Sopra a latina prosodia bislacca.

La Fama, che con lui fornica in piazza, 
Posto il trombon fra l'una e l'altra lacca, 
Ai quattro venti il nome suo strombazza.
Mario Rapisardi.

8
Catania, 25 aprile 1881 
Carissimo Onufrio,
Avete ragione: non stamperò il sonetto, salvo che il sig. Carducci non mi voglia mettere proprio con le spalle al muro.
Nel Giobbe, ch'è lavoro d'arte sereno, non ci sarà posto per cotesti masnadieri.
Ricordatemi al Ragusa Moleti e prendetevi una paterna stretta di mano dal vostro
Mario Rapisardi
Biglietto da visita. Busta c. s.

9
Catania, 18 Febbr. [1883] 
Egregio Sig. Onufrio,
Bisogna ch'Ella chieda al Ministero di poter fare gli esami in questa Università. Se il Ministero non troverà difficoltà, questo Rettore sarà officialmente incaricato di proporre la commissione esaminatrice. Accettata la proposta, Ella manderà i suoi titoli al Rettore; e noi commissari faremo il resto.
Ringraziandola d'essersi ricordato di me e di porgermi l'occasione di provarle quanto la stimi, con tanti saluti le confermo
. aff.mo Rapisardi.

10
Di Catania, il 6 di Marzo [1883] 
Caro Sig. Onufrio,
Mi voglia anzi tutto scusare se non Le ho risposto subito, come avrei voluto e dovuto; ma creda, tanti impicci e fastìdi mi son capitati di questi giorni, che m'è stato impossibile.
Ho parlato di nuovo al Rettore il quale mi ha ripetuto ciò che mi aveva detto l'altra volta e che io Le scrissi: cioè, esser necessario ch'Ella mandi al Ministero i suoi titoli, dichiarando in quale università vorrebbe ella esporsi agli esami per la libera docenza. Il ministro potrà allora o convocare la facoltà letteraria dell'Università la Lei scelta, o rivolgersi al Consiglio Superiore perché esamini esso il valore dei suoi titoli.
Questo m'ha ripetuto il Rettore, ed io ho ragione di credere ch'egli s'intenda bene di queste cose.
Quanto a ciò che potrebbe fare questa facoltà nel caso che fosse chiamata a giudicare della opera di Lei non se nedia briga, perché essa tanto conosce il suo ufficio e i suoi doveri quanto io son certo di volerle bene.                             
Gradisca intanto i saluti e una stretta di mano
dal suo aff. Rapisardi.

11
[Cotanta, 2 maggio 1883] 
Caro Sig. Onufrio                                                                  
Mario Rapisardi
vi raccomanda l'editore Niccolò Giannotto, che vi porterà questo biglietto insieme con tanti saluti.
Biglietto da visita,  che non fu recapitato a mano:   la busta porta il bollo postale «Catania, 3-5-83».

12
Sta Maria di Gesù 26 luglio [1883] 
Carissimo Onufrio,
Ebbi i suoi titoli or è circa un mese; li conoscevo quasi tutti — li passai subito ai miei colleghi i quali pare non abbiano avuto ancora il tempo di leggerli. Fra' miei colleghi, tanto per saperlo, ci sono due canonici! Li ho sollecitati più volte; ma fanno i sordi. Non potrebbe scriver Lei una lettera al preside? Questo Le scrivo perché Ella non sospetti ch'io trascuri o faccia con troppo comodo i miei doveri d'ufficiale e d'amico.
Le stringo intanto la mano.
Suo Rapisardi.
Busta: «All'Egregio Sig. Enrico Onufrio, fermo posta, Napoli». Ecco una lettera precedente dell'Onufrio sul tema in parola :

Palermo, 11 giugno 1883 Caro Professore,
Il Ministero spedisce i miei titoli per la libera docenza (destinati a codesta Facoltà di Lettere) col solo indirizzo «Catania». Alla Posta di Catania viene aperto il plico, si constata che è roba mia, e si rimanda a me. Io, alla mia volta, oggi stesso, mando questi miei titoli vagabondi alla Facoltà di Lettere dell'Ateneo Catanese. Io mi auguro che il Ministero avrà mandati a codesta Facoltà qualche lettera esplicativa intorno a questi miei poveri titoli e all'uso che la Facoltà dovesse farne; ma caso mai questa lettera non esistesse, per carità, caro Professore, dica al Preside: — Non facciamoli più viaggiare codesti documenti, che hanno viaggiato abbastanza; attendiamo piuttosto spiegazioni dal Ministero —.
D'altronde al Preside oggi stesso ho mandato una lettera dove ho spiegato ogni cosa.
Io non Le chiedo scusa di queste mie seccature, ma l'autorizzo, in un Suo futuro poema, a inchiodarmi fra i tormentatori dell'umanità.                                Con affetto il Suo
Enr. Onufrio

13
Sta Maria di Gesù 7 Ott. 1883
Carissimo amico,
Le manderò il Giobbe nelle bozze di stampa, ma quando saremo agli ultimi fogli; ora, siamo appena al sesto e a leggerlo a pezzi e bocconi non ci proverebbe gusto né potrebbe formarsi un'idea esatta dell'intero. Farò questa eccezione per lei, che son certo non lo farà vedere ad anima nata: ella sa che si scrive piano fin d'ora la Balossardiana, e mi rincrescerebbe molto che il poema fosse veduto prima d'uscire in luce.
Sa che i miei amici, i pochissimi che mi son rimasti fedeli fra tante burrasche, intendono fare un giornale letterario di elementi in massima parte siciliani?  L'edit. del Giobbe ci
farebbe le spese, ricompensandoci dopo qualche mese di
prova. Non Le pare che sia tempo di farla finita co' camorristi
di tutte le gradazioni e le sfumature?
La sua collaborazione e quella dell'ottimo Ragusa Moleti non ci mancherà, ne son sicuro; anzi, guardi, porto la fiducia
a segno da non dubitare ch'Ella ci farà avere uno scritto entro il prossimo novembre: che il giornale al più tardi vedrebbe la luce in Dicembre. E qualche cosa ci manderà anche il Ragusa, a cui, per suo mezzo, mi rivolgo io e gli amici sin da ora, e al quale, se occorre, scriveremo direttamente; sebbene io creda che il gentile poeta non tenga molto alle formalità, e questo invito amichevole gli basti. Me lo ringrazi a ogni modo della poetica prosa su le tradizioni popolari, ch'ebbe la gentilezza di regalarmi; ed ella, egregio amico, s'abbia una cordiale stretta di mano dal suo
Rapisardi.

14
Sta. Maria di Gesù 13 Nov. [1883]
Perchè tante scuse e tanti complimenti, mio caro amico? Io son lieto quando posso esserle utile. Gli esperimenti sono tre come sa. Al più presto, in settimana, spero, farò adunare la commissione; e il tema da trattare in scritto Le sarà mandato officialmente. Non si muova ella dunque di costà; che per questa volta può risparmiarsi il fastidio di venire.
Tra quindici giorni le manderò le bozze dell'intero Giobbe. Addio, e voglia bene al suo
Biglietto da visita.
Rapisardi.

15
Sabato, 19 dicembre 1883 
Caro Onufrio,
Domani alle 11 a.m. si adunerà la commissione esaminatrice. Spero ch'Ella possa venire. In caso contrario ci avvisi. Biglietto da visita.

16
Sta. Maria di Gesù 
Caro ed egregio amico,                                        25 Dic. 83
Non ostante una terribile sventura che ha colpito il mio cuore, in momenti che avrei bisogno di coraggio e di calma, vi mando oggi i fogli del Giobbe, appagando cosi il desiderio vostro di averlo prima della publicazione. Fatene quell'uso che vi parrà migliore, ma non lo fate vedere ad anima viva. Addio, mio caro Onufrio; addio: l'animo mio è più forte della mia sventura, ma il mio corpo è debole e la salute vacilla.
Vostro Rapisardi.
La sventura rapisardiana del Natale 1883 consiste nella scoperta (mediante una lettera) della tresca fra la signora Giselda e Giovanni Verga : i due non solo tradivano la fiducia del marito e dell'amico, ma complottavano con gli autori della Balossardiana e gli altri nemici del Rapisardi contro di lui. Nel gennaio 1884 il poeta scrive ad Arturo Graf : « ho dovuto mandar via di casa la donna a cui avevo dato il mio nome e confidato la mia felicità»; e a Lida Gerracchini: «dalla lettera si rileva chiarissimamente la tresca durata e continua; e (lo crederebbe?) le pratiche fatte da costei per mezzo del suo amante perché essa entrasse nelle buone grazie dei miei amici... Cotesto individuo era andato a Roma, aveva trattato, combinato l'affare e, per tirarseli dalla loro (parole testuali della lettera) aveva confidato il loro secreto alla signora Serao ».

17
Sta. Maria di Gesù 
18 dell'84
Egregio Sig. Onufrio,
Le mandai, per sodisfare a un suo gentile desiderio, i fogli del Giobbe, non ancora publicato. Li ebbe? Il suo asso luto silenzio me ne fa dubitare. Mi scriva e mi abbia
per suo M. Rapisardi.
Ecco la risposta dell'Onufrio :
Palermo, 21 gennaio 1884 Carissimo amico,
Grazie della cortese premura. Ricevetti il « Giobbe » che sarà per me presto argomento di uno studio largo e coscen-zioso.
Riguardo, poi, al poeta del « Giobbe » vorrei sapere ch'egli ha riacquistato la completa serenità d'animo in seguito alla sventura, qualunque ella sia stata, che l'ha colpito.
Addio, anzi a rivederla. Verso la fine del mese manderò il mio scritto, e pregherò il preside della facoltà di far di tutto onde gli altri esami non si protraggano a lungo, ma, possibilmente, si facciano entro il mese di febbraio o al più tardi ai principi di marzo.
E' un desiderio che potrà essere facilmente appagato: non è vero?
Nuovamente addio. Con affetto inalterabile
Suo Enr. Onufrio

18 Sta. Maria di Gesù [30, gennaio 1884]
Dicendo che io non mi sarei mai insudiciato nella volgarità, voi avete detto il vero, mio caro Onufrio, avete mostrato di conoscere intimamente l'animo mio e d'apprezzare giustamente il mio carattere. Ed al carattere, sapete, io tengo molto più che all'ingegno e al sapere. Lasciate ch'io vi abbracci.
M. Rapisardi.
Biglietto da visita. Si fa riferimento ad una lettera indirizzata dall'Onufrio al «Giornale di Sicilia» di Palermo, 27 gennaio 1884.

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Sta Maria di Gesù 10 Marzo [1884]
Egregio Amico,
O che razza di sospetti Le vengono in capo? Che io non Le abbia più scritto perché non mi sia piaciuto l'Orazio! Via, ne convenga, l'ha detto grossa. Non me Le son fatto vivo, mio caro, perchè my soul is dark, per dirla col Byron; oh, molto dark, gliel'assicuro. Scapperò al più presto da questo paese, dove molti mi vogliono bene, lo so, ma tutti si studiano diligentemente di non mostrarmelo; ed io, guardi umana debolezza, ho bisogno (da circa 3 mesi, ed ella sa perché) di sentirmi e di vedermi amato. E' strano che la cura tonica di disinganni non m'abbia ancora, guarito della scrofola sentimentale; e peccato, che il tempo, unica medicina infallibile, sia cosi lento a operare su' miei visceri. Ma tanto s'invec-chierà, se dio vuole!
La proposta della sua nomina fu fatta, e con uno splendidamente dal prof. Bruno, che vale un Perù. E al Giappone ci va? Prima di partire mi scriva un rigo. E se da quelle parti troverà una donna metastasianamente fida e costante, ne porti il seme in Europa. Altro che bachi da seta!
Addio, caro Onufrio, e voglia bene
al suo Rapisardi.
My soul is dark (La mia anima è affranta) è il titolo di una lirica di Byron (Hebrew Melodies, 1815).

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Sta. Maria di Gesù 22 Maggio [1884] 
Egregio e caro sigr Onufrio,
Ho avuto la vostra lettera ed ho raccomandato al Bruno di rifare al più presto il verbale. Bastoni fra le gambe! Ma che ci si vuol fare? La colpa non è certo del vostro aff.
Rapisardi.

21
Sto Maria di Gesù 8 Agosto [1884] 
Caro Onufrio,
La seconda relazione, scritta dal Maugeri (la prima era del Bruno) ci è stata anch'essa rimandata indietro, con quanta mia sodisfazione, immaginatelo, avendola anch'io firmato per semplice deferenza al mio preside. Pazienza! Ne scriveremo un'altra, e questa volta ci metterò io lo zampino.
Voi intanto vi disponete a traversare un'altra volta l'oceano. Oh beato voi! La terra è così piccola e così noiosa!
Vi stringo la mano e vi abbraccio.
M. Rapisardi.
Busta: «All'egregio Sigr Enrico Onufrio, Hotel du Vesuve, Napoli ».

22
Sta. Maria di Gesù 10 Nov. [1884] 
Carissimo Onufrio,
Non può immaginare quante arrabbiature mi son prese per questa benedetta relazione del suo esame! Il Ministero, mi pare ch'ella lo sappia, la rimandò indietro la prima e la seconda volta; e fece benissimo, perché scritta co' piedi e pensata col sedere. Il Can. Bruno si prese la briga di rifarla, ma finora non ha trovato né il tempo né il modo né il verso di scriverla. Gli ho parlato, gli ho scritto, mi gli sono raccomandato, l'ho sollecitato in tutte le maniere, ma tutto è stato inutile.
Il Sig. A. Abate intanto, non ostante la mia astensione dal votare, è stato subito approvato, proposto, nominato: ché il merito d'avere scritto de' libelli infami contro di me non è di poco momento appresso a questi miei onorevoli colleghi. I quali al Minist., che del mio non votare si meravigliava, ebbero il tuppè di scrivere, a mia insaputa, che fra me e il sigr A. c'era stata una torte diatriba. Io che non m'ero mai fatto né in qua né in là a' morsi di questo ciuco idrofobo, non mi son degnato di spiegar la cosa al Minist., che il parlare e scrivere di certe miserie e parlarne a lei mi repugna tanto, che mi ci vuole ora tutto il bene ch'io voglio a lei e il dispiacere dì non aver potuto esserle utile in nessun modo, per farlene cenno in questa lettera.
Da questo ella capirà che io ho dovuto astenermi dallo stendere da me la relazione: che sarebbe parsa una parzialità, e questo sospetto avrebbe offeso la sua e la mia delicatezza.
Prima di rivolgersi al Minist. io Le consiglierei di scrivere quattro parole secche secche a questo Rettore, perché veda lui di finir la cosa prima ch'ella sia costretto d'informare il Ministero. Questa minaccia, farà forse effetto, che qui non si ha tanto amore alla giustizia e alla dignità propria, quanto si ha paura dei Superiori.
Gradisca intanto i miei rallegramenti per la sua racqui-stata sanità e mi creda sempre suo affmo
Rapisardi.
Busta:  «All'egregio Sig. Enrico Onufrio, Palermo».

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Sta. Maria di Gesù 7 Dic. [1884] 
Carissimo Sig. Onufrio,
Sono ammalato da più d'un mese, e non so nulla di nulla... il Rettore non m'ha dato segno di vita.
Mi faccia un piacere: mi mandi al più presto che può un sunto non molto secco del suo scritto e della sua lezione; io metterò gli apprezzamenti e i giudizj, e poi piglierò per il collo questi signori e li farò firmare. Creda, sono indigna-tissimo.
Addio.
M. Rapisardi.
Busta :  « All'egregio Sig. Enrico Onufrio, Palermo ».


24
Sta. Maria di Gesù 18 Dic. 1884
Carissimo Onufrio, 
Ho scritto, fatto firmare e mandato la famosa relazione. Non sarebbe inutile ch'ella scrivesse al Minist. per sollecitare la nomina.
Le stringo la mano.
R.

di Gino Raya - ed.1960 - 800 inedito


venerdì 29 settembre 2017

Per canto e pianoforte il "Canto di Zilpa"


Musica di Salvatore Saya - parole di Mario Rapisardi



"Canto di  Zilpa"

Un paese io conosco ove non ride
Caldo e raggiante il sole; 
Ma quanto infido è il sol, tanto son fide
L'anime e le parole. 
Ivi oceani non son, non son vulcani,
Né abissi il suol nasconde; 
Non fiamme d'amorosi impeti umani,
Non mar d'ire profonde ; 
Ma deserti di fiori entro una blanda
Fascia di nivea luna, 
Laghi a cui fan gli azzurri ampia ghirlanda
Senz'onda ed aura alcuna. 
In palagi d'opàle e di coralli
Avvolti in roseo velo, 
Pallide giovinette intesson balli
Infra la terra e il cielo. 
Infra la terra e il ciel, come fragranza
Che il freddo aere molce, 
S'alza un canto di pace e di  speranza
Monotono ma dolce. 
O fratel mio, tal rigido paese
E qui dentro il mio core. 
O amico e difensor, bello e cortese,
Io non conosco amore.
                              Mario Rapisardi.
                                            (dal Giobbe, Lib. 2°).







* Natura ed Arte 1892/93